ASSOCIAZIONE CULTURALE APARTITICA O.N.L.U.S.
ORGANIZZAZIONE NON LUCRATIVA DI UTILITA' SOCIALE
PER RIAPPROPRIARCI DELLA NOSTRA IDENTITA', E PERCHE' LA SARDEGNA ABBIA IL RUOLO CHE LE COMPETE, PROPONIAMO E ORGANIZZIAMO INCONTRI PER : | |||||||||||
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giovedì 28 luglio 2011
Bicentenario dalla scomparsa di Francesca Sanna Sulis
Francesca Sanna Sulis imprenditrice sarda del Settecento, protagonista e testimone dei moti insurrezionali del 28 Aprile 1794
E' questo l'oggetto del convegno tenutosi a Assemini, presso la scuola media "Costantino Nivola", organizzato dall'Associazione culturale "Riprendiamoci la Sardegna" il 05 Maggio 2011 e replicata il 31 Maggio per la scuola elementare della stessa direzione didattica.
A margine del convegno è stato realizzato un laboratorio teatrale che ha visto protagonisti gli studenti della scuola media che hanno interpretato alcune scene dell'opera dedicata alla vita di Francesca Sanna Sulis. La manifestazione si è avvalsa della collaborazione degli allievi del corso di musica della stessa scuola Nivola.
Pioniera settecentesca dell'imprenditoria femminile, esce ora dall'oblio grazie a un libro di Lucio Spiga: "Le vie della seta sono infinite".
Raccontano di mondi lontani, e possono scorrere a pochi passi da casa nostra. Vicine nella dimensione dello spazio, lontane anni luce in quelle del tempo: che è un grande nemico della coscienza, se non è sostenuto dalla memoria. È accaduto così che la Sardegna abbia perso per troppi anni la cognizione di una pioniera dell'imprenditoria femminile e della formazione professionale: una donna, forte e preziosa come la seta, la cui vita si è identificata con la coltivazione dei gelsi. Francesca Sanna Sulis, che nacque a Muravera (Feraxi) due secoli fa e arrivò a vestire Caterina di Russia.
A riproporre la sua singolarissima storia, a intrecciare un racconto che è personale, storico, politico, è ora uno studio del giornalista Lucio Spiga. Edito dalla Workdesign di Selargius, è il frutto di una ricerca testarda e appassionata, che ha portato l'autore a spulciare negli archivi, quello di Stato e quello Arcivescovile Diocesano, e a ripercorrere a ritroso l'eccezionale percorso di Donna Francesca. Nata nel giugno 1716 da una famiglia di ricchi possidenti di aziende agricole e allevamenti di bestiame, morì a Cagliari nel 1810, a 94 anni. Sposa giovanissima del giureconsulto cagliaritano Pietro Sanna Lecca, estensore degli editti e dei pregoni della Real Casa di Savoia, si dedicò ben presto all'attività familiare, ampliando la coltivazione dei gelsi e avviando una fiorente coltura dei bachi da seta. Imprenditrice coraggiosa, fu formatrice di centinaia di giovani donne di tutti i paesi della Sardegna che alla sua scuola appresero l'arte della filatura e della tessitura ed ereditarono il suo spirito imprenditoriale, ricevendo in dono, a fine corso, un telaio. Francesca Sanna Sulis fu anche stilista («inventò il made in Italy», sostiene entusiasta Spiga) e per parecchi anni le sue collezioni furono proposte al pubblico milanese a palazzo Giulini: dame e principesse di casa Savoia, Caterina di Russia, furono tra le sue clienti.
Ma Francesca Sulis non era soltanto una un'anticipatrice: destinò importanti risorse all'educazione e al sostentamento dei bambini poveri. E chiuse la sua lunga vita con un altro gesto di generosità, lasciando i suoi beni ai poveri di Muravera e Quartucciu. Un gesto che le valse un riconoscimento postumo dal Re Carlo Alberto nel 1845. Poi l'oblio. Fino a1 1960, quando Lucio Spiga avviò le ricerche sulla nobildonna.
Le prime, scarne notizie finirono otto anni più tardi nel suo libro “Il mio Paese, Quartucciu”. Le altre hanno nutrito per una quarantina d'anni la sua ricerca, fino a dare vita a questo studio. Ad arricchirlo, gli apporti del sindaco di Muravera Salvatore Piu, di Antonio Romagnino, di Adriana Gallistru (Archivio di stato) di Gabriella Gallistru (autrice dei ritratti di Francesca Sulis), di Alberto Longatti (giornalista comasco). Due interviste squarciano altri veli: quella al discendente don Enrico Sulis, e quella all'avvocato Giovanni Fara Puggioni, fortemente attratto dalla figura dell'imprenditrice (oltre che dalla sua passione «per le scartoffie») grazie ai racconti di Maria Sulis, nonna di sua moglie Annamaria Delitala.
Un libro quello di Lucio Spiga, generoso come l'autore, ricco di tributi e ringraziamenti ai molti che hanno collaborato a scriverlo, di immagini e documenti, cronache spicciole e storia. Il volume contiene anche il testamento di Donna Francesca, e una serie di interventi in appendice. Quello storico di Giuseppe Putzolu, quelli più personali di don Emilio Manca, parroco di San Nicola a Muravera, e di monsignor Gianfranco Zuncheddu, già parroco di Quartucciu. Infine lo studio genealogico di Fara Puggioni sulla famiglia Sulis.
Dopo la smemoratezza ora è il tempo del ricordo, che porta con sé una serie di manifestazioni legate al bicentenario della morte. Promosse dall'Associazione culturale “Amici di Francesca Sanna Sulis” hanno il patrocinio dei comuni di Cagliari, Muravera, Quartucciu, Regione, presidenza del Consiglio regionale, Provincia, circoli sardi di Como, Pavia, Magenta, particolarmente sensibili alla storia di un'imprenditrice che esportò in Lombardia e Piemonte gran parte della produzione, e “importò” in Sardegna molti esperti provenienti da quelle zone.
Il 4 febbraio, data della morte, nella chiesa medievale di Sant'Efisio, al Cimitero di Quartucciu, si è svolta una messa in suffragio. Il 6 Febbraio a Cagliari c'è stata la posa di una lapide presso la casa di via Lamarmora 61. Due ore più tardi, e pochi passi più in là, in Cattedrale, la messa solenne celebrata da monsignor Piergiuliano Tiddia, vescovo emerito di Oristano. Infine il 20 febbraio un convegno a Quartucciu, aula del consiglio comunale. A promuoverlo, col sindaco Pierpaolo Fois e l'amministrazione, la Biblioteca comunale, dal 2002 dedicata a Donna Francesca. A Muravera, che ha riscoperto l'illustre concittadina, il 2011 sarà segnato da iniziative in suo onore. Infine, il 05 Maggio e il 31 Maggio, la Compagnia Teatrale Nuova Scena ha rappresentato ad Assemini, nei locali della scuola Costantino Nivola,“La Signora dei gelsi”: sceneggiata da Riccardo Laria e diretta da Giuseppe Curreli.
A curare il lavoro, l'Associazione culturale “Riprendiamoci la Sardegna”, che ha inquadrato la Sulis nella cornice storica del periodo sabaudo.
A Pavia, l'Università ha ospitato il 6 marzo un convegno promosso dai circoli sardi di Como e Pavia. L'indomani a Magenta un convegno del circolo “Grazia Deledda”. Un fervore di iniziative testimoniate da un'intera pagina a firma di Alberto Longatti dedicata dal quotidiano La Provincia alla «gentildonna che dava a Como filo da torcere».
sabato 23 luglio 2011
Cura per il cancro?
Trovata in Canada una cura per il cancro, ma le big pharma fanno finta di niente.
di "Uniti contro la multinazionale del CANCRO"
I ricercatori dell'Università di Alberta, a Edmonton, in Canada hanno trovato la cura per il cancro, la settimana scorsa, ma se ne parla pochissimo nei notiziari e alla TV.
È una tecnica semplice, si utilizza un farmaco molto semplice.
Il metodo impiega dicloroacetato, che è attualmente usato per trattare i disordini metabolici. Quindi, non vi è alcuna preoccupazione per gli effetti collaterali o gli effetti a lungo termine.
Questo farmaco non richiede un brevetto, per cui chiunque lo può utilizzare ampiamente ed è economico rispetto ai costosi farmaci antitumorali prodotti da grandi aziende farmaceutiche.
Gli scienziati canadesi hanno testato questo dicloroacetato (DCA) sulle cellule dell'uomo, ed ha ucciso le cellule del cancro dal polmone, mammella e cervello ed ha lasciato intatte quelle sane. È stato testato su topi con tumori gravi che si sono ridotti quando sono stati alimentati con acqua integrata con DCA. Il farmaco è ampiamente disponibile e la tecnica è facile da usare. Perché le case farmaceutiche più importanti non sono coinvolte? O i media non ne sono interessati?
Nel corpo umano c'è un elementa naturale che lotta contro il cancro: i mitocondri, ma hanno bisogno di essere “spinti” per essere abbastanza efficaci [i mitocondri sono organi contenuti in ogni cellula umana, con una struttura simile a quella dei batteri, e con un proprio DNA mitocondriale; la funzione principale del mitocondrio è quella di produrre energia - N.d.T.].
Gli scienziati hanno sempre pensato che i mitocondri venissero danneggiati dal cancro e quindi hanno pensato di concentrarsi sulla glicolisi che è meno efficace e più dispensiosa. I produttori di farmaci si sono concentrati solo su questo metodo della glicolisi per combattere il cancro. Questo DCA invece non si basa sulla glicolisi ma sui mitocondri, “innesca” i mitocondri che combattono le cellule tumorali.
L'effetto collaterale di questo è che viene anche riattivato un processo chiamato apoptosi. Vedete, i mitocondri contengono un fin troppo importante “pulsante di autodistruzione” che viene a mancare nelle cellule tumorali. Senza di esso, i tumori diventano più grandi e le cellule rifiutano di estinguersi.
I mitocondri pienamente funzionanti, grazie al DCA invece possono finalmente morire. Le aziende farmaceutiche non investono in questa ricerca perché il metodo DCA non può essere brevettato, senza un brevetto non possono fare soldi, come stanno facendo ora con le cure contro l'AIDS.
Dal momento che le case farmaceutiche non se ne interesseranno, altri laboratori indipendenti dovrebbero iniziare a produrre questo farmaco e fare ulteriori ricerche per confermare le conclusioni di cui sopra e produrre i farmaci.
di "Uniti contro la multinazionale del CANCRO"
I ricercatori dell'Università di Alberta, a Edmonton, in Canada hanno trovato la cura per il cancro, la settimana scorsa, ma se ne parla pochissimo nei notiziari e alla TV.
È una tecnica semplice, si utilizza un farmaco molto semplice.
Il metodo impiega dicloroacetato, che è attualmente usato per trattare i disordini metabolici. Quindi, non vi è alcuna preoccupazione per gli effetti collaterali o gli effetti a lungo termine.
Questo farmaco non richiede un brevetto, per cui chiunque lo può utilizzare ampiamente ed è economico rispetto ai costosi farmaci antitumorali prodotti da grandi aziende farmaceutiche.
Gli scienziati canadesi hanno testato questo dicloroacetato (DCA) sulle cellule dell'uomo, ed ha ucciso le cellule del cancro dal polmone, mammella e cervello ed ha lasciato intatte quelle sane. È stato testato su topi con tumori gravi che si sono ridotti quando sono stati alimentati con acqua integrata con DCA. Il farmaco è ampiamente disponibile e la tecnica è facile da usare. Perché le case farmaceutiche più importanti non sono coinvolte? O i media non ne sono interessati?
Nel corpo umano c'è un elementa naturale che lotta contro il cancro: i mitocondri, ma hanno bisogno di essere “spinti” per essere abbastanza efficaci [i mitocondri sono organi contenuti in ogni cellula umana, con una struttura simile a quella dei batteri, e con un proprio DNA mitocondriale; la funzione principale del mitocondrio è quella di produrre energia - N.d.T.].
Gli scienziati hanno sempre pensato che i mitocondri venissero danneggiati dal cancro e quindi hanno pensato di concentrarsi sulla glicolisi che è meno efficace e più dispensiosa. I produttori di farmaci si sono concentrati solo su questo metodo della glicolisi per combattere il cancro. Questo DCA invece non si basa sulla glicolisi ma sui mitocondri, “innesca” i mitocondri che combattono le cellule tumorali.
L'effetto collaterale di questo è che viene anche riattivato un processo chiamato apoptosi. Vedete, i mitocondri contengono un fin troppo importante “pulsante di autodistruzione” che viene a mancare nelle cellule tumorali. Senza di esso, i tumori diventano più grandi e le cellule rifiutano di estinguersi.
I mitocondri pienamente funzionanti, grazie al DCA invece possono finalmente morire. Le aziende farmaceutiche non investono in questa ricerca perché il metodo DCA non può essere brevettato, senza un brevetto non possono fare soldi, come stanno facendo ora con le cure contro l'AIDS.
Dal momento che le case farmaceutiche non se ne interesseranno, altri laboratori indipendenti dovrebbero iniziare a produrre questo farmaco e fare ulteriori ricerche per confermare le conclusioni di cui sopra e produrre i farmaci.
giovedì 7 luglio 2011
Manovra finanziaria: Ci prendono per i fondelli?
Una manovra sbagliata e inutile
di Giuseppe Turani
La manovra per il riequilibrio dei conti (che tante polemiche ha sollevato) è sbagliata. E non solo perché, tanto per cambiare, va a colpire soprattutto chi è meno abbiente. E’ sbagliata perché molto probabilmente non servirà a niente e consegnerà l’Italia a un lungo (o lunghissimo) periodo di stagnazione. E che questo avvenga sotto un presidente del Consiglio “sviluppista” (almeno a parole) farebbe ridere, se non fosse un po’ tragico. Gli errori più gravi della manovra sono due:
1- Con i consumi fermi e un paese che non cresce, si inventa una serie di balzelli e di misure che cadono esattamente sulla testa di coloro che dovrebbero muoversi, spendere un po’ di più. E che invece faranno, ovviamente, proprio il contrario. Dall’annuncio della manovra tutti hanno capito che sono, già adesso, un po’ più poveri, e quindi si regoleranno di conseguenza. Non ci vuole Brunetta per capire che tutto questo non stimolerà affatto l’economia. Anzi, la deprimerà ancora di più.
2- Ma il vero errore è che dentro la manovra non c’è niente per lo sviluppo. E questo non è solo un formidabile argomento di polemica politica. E’ stato lo stesso governo a dire che ci voleva una frustata all’economia, qui invece è arrivata solo una bastonata in testa. Ma in un paese che sta crescendo meno dell’1 per cento all’anno (e che l’anno prossimo potrebbe andare poco sopra lo 0,5 per cento) non c’è manovra che tenga. Qualunque cosa che si tenta rischia di non centrare il bersaglio. Qualunque cosa che si fa (lasciando perdere per il momento gli aspetti “di classe”) rischia di essere sbagliata. E quindi nel giro di non molto tempo serviranno altre manovre. Con il risultato che, di bastonata in bastonata, l’economia italiana rischia di piegarsi su se stessa e di entrare in una fase di quasi stabile stagnazione.
Ma, d’altra parte, che cosa si può fare? La situazione italiana è ormai chiarissima e i politici non fanno quello che va fatto per la banale ragione che nessuna scimmia taglia il ramo sul quale sta seduta. Mi spiego meglio: l’Italia è come un’azienda che abbia una direzione generale enorme, con una quantità infinita di vice-direttori generali, assistenti dei medesimi e consulenti. In queste condizioni sarebbe stato logico assistere a una politica che fa autocritica e che comincia a tagliare se stessa. Ma non lo stipendio dei deputati: i deputati medesimi. L’America se la cava benissimo con 400 rappresentanti del popolo. L’Italia, che è cinque volte più piccola, ne ha quasi mille. Ma perché?
Di fronte alla gravità della situazione, e di fronte a una manovra che è la più pesante degli ultimi venti anni, sarebbe stato logico attendersi un intervento “rivoluzionario” sulla macchina-Stato: via le province, accorpamento dei comuni, collocamento sul mercato in tempi brevi di tutte le società di servizi “locali” (quasi 40 mila amministratori), revisione delle strutture sanitarie e universitarie, e via di questo passo. Invece, niente. Forse un po’ meno auto blu (ma dalla prossima legislatura)
Bisogna arrivare, insomma, allo Stato leggero, che costi molto meno di quello attuale. Senza di questo, passeremo da una super-manovra all’altra. E a ogni giro l’economia si deprimerà un po’ di più.
di Giuseppe Turani
La manovra per il riequilibrio dei conti (che tante polemiche ha sollevato) è sbagliata. E non solo perché, tanto per cambiare, va a colpire soprattutto chi è meno abbiente. E’ sbagliata perché molto probabilmente non servirà a niente e consegnerà l’Italia a un lungo (o lunghissimo) periodo di stagnazione. E che questo avvenga sotto un presidente del Consiglio “sviluppista” (almeno a parole) farebbe ridere, se non fosse un po’ tragico. Gli errori più gravi della manovra sono due:
1- Con i consumi fermi e un paese che non cresce, si inventa una serie di balzelli e di misure che cadono esattamente sulla testa di coloro che dovrebbero muoversi, spendere un po’ di più. E che invece faranno, ovviamente, proprio il contrario. Dall’annuncio della manovra tutti hanno capito che sono, già adesso, un po’ più poveri, e quindi si regoleranno di conseguenza. Non ci vuole Brunetta per capire che tutto questo non stimolerà affatto l’economia. Anzi, la deprimerà ancora di più.
2- Ma il vero errore è che dentro la manovra non c’è niente per lo sviluppo. E questo non è solo un formidabile argomento di polemica politica. E’ stato lo stesso governo a dire che ci voleva una frustata all’economia, qui invece è arrivata solo una bastonata in testa. Ma in un paese che sta crescendo meno dell’1 per cento all’anno (e che l’anno prossimo potrebbe andare poco sopra lo 0,5 per cento) non c’è manovra che tenga. Qualunque cosa che si tenta rischia di non centrare il bersaglio. Qualunque cosa che si fa (lasciando perdere per il momento gli aspetti “di classe”) rischia di essere sbagliata. E quindi nel giro di non molto tempo serviranno altre manovre. Con il risultato che, di bastonata in bastonata, l’economia italiana rischia di piegarsi su se stessa e di entrare in una fase di quasi stabile stagnazione.
Ma, d’altra parte, che cosa si può fare? La situazione italiana è ormai chiarissima e i politici non fanno quello che va fatto per la banale ragione che nessuna scimmia taglia il ramo sul quale sta seduta. Mi spiego meglio: l’Italia è come un’azienda che abbia una direzione generale enorme, con una quantità infinita di vice-direttori generali, assistenti dei medesimi e consulenti. In queste condizioni sarebbe stato logico assistere a una politica che fa autocritica e che comincia a tagliare se stessa. Ma non lo stipendio dei deputati: i deputati medesimi. L’America se la cava benissimo con 400 rappresentanti del popolo. L’Italia, che è cinque volte più piccola, ne ha quasi mille. Ma perché?
Di fronte alla gravità della situazione, e di fronte a una manovra che è la più pesante degli ultimi venti anni, sarebbe stato logico attendersi un intervento “rivoluzionario” sulla macchina-Stato: via le province, accorpamento dei comuni, collocamento sul mercato in tempi brevi di tutte le società di servizi “locali” (quasi 40 mila amministratori), revisione delle strutture sanitarie e universitarie, e via di questo passo. Invece, niente. Forse un po’ meno auto blu (ma dalla prossima legislatura)
Bisogna arrivare, insomma, allo Stato leggero, che costi molto meno di quello attuale. Senza di questo, passeremo da una super-manovra all’altra. E a ogni giro l’economia si deprimerà un po’ di più.
mercoledì 6 luglio 2011
Oggi 6 Luglio a Cagliari.
Il corteo del 6 Luglio contro Equitalia
di M.Giovanna Fossati
Settantamila micro aziende sarde a settembre dovranno chiudere. 210 mila addetti da allora in poi, saranno a spasso, e considerando le loro famiglie si arriva a calcolare che 600 mila persone, nei prossimi mesi saranno ridotte sul lastrico. Gianni Piacciau del movimento «Artigiani e commercianti liberi Sardegna», già iniza a intravedere la prospettiva dell’Argentina nei giorni acuti della crisi. E non è un concetto irreale o esagerato, perchè oltre al baratro della disoccupazione, si aggiungono le pratiche vessatorie dello Stato: i sardi dovranno pagare oltre 300 milioni di euro, che arrivano con le cartelle di Equitalia pronti per essere riscossi dall’erario.
Numeri per i quali stamattina, commercianti, artigiani, imprenditori, professionisti, pastori, scenderanno in piazza a Cagliari, a gridare la rabbia di un popolo piegato dalla crisi, che in moltissimi casi si è trasformata in povertà. Trentamila persone arriveranno da tutte le parti della Sardegna richiamate dal movimento «Artigiani e commercianti liberi». Si sono dati appuntamento nel piazzale antistante la Fiera, da lì marceranno su viale Diaz e su via Roma, fino al consiglio regionale. «Chi ci governa si deve rendere conto che quì c’è un problema di emergenza sociale - prosegue Picciau -. Settantamila aziende sono in difficoltà. Calcolando che ogni azienda, oltre al proprietario, impiega due addetti, arriviamo alla cifra di 210 mila stipendi che non ci saranno più. Stipendi che a loro volta travolgeranno le famiglie dei dipendenti, e calcolando 3 persone a famiglia, arriviamo a una cifra spaventosa: 600 mila persone in gravissima difficoltà, che su una popolazione di un milione e mezzo di residenti, sta a significare che questa terra chiude i battenti».
Picciau entra nello specifico dei settori in crisi richiamando gli elementi più pesanti dell’economia : «Prendiamo il comparto turistico: grazie al caro traghetti abbiamo il 40% degli arrivi in meno. Ci sono i camion con i prodotti sardi fermi a Olbia: sono raddoppiati i costi del trasporto. Ma non parliamo solo di commercianti e artigiani, nel Sulcis ci sono persone che hanno problemi ad assicurarsi la pagnotta”. E via via si arriva anche ai risvolti drammatici della vita di chi ha perso il lavoro: «Vogliamo parlare dei suicidi in Sardegna?- chiede ancora Picciau - La gente è stremata e reagisce male. Ma voglio precisare che oggi in piazza la rabbia sarà controllata, siamo un movimento pacifista». L’altro lato dell’economia dell’isola sono i balzelli erariali. Gli oltre trecento milioni di euro da pagare a Equitalia sono i debiti dei sardi con lo Stato e gli enti locali: Ici, Tarsu, Iva e via continuando. Ma poi ci sono i mutui non onorati, e le abitazioni ipotecate. Nel frattempo i tagli di Regione ed enti locali si accaniranno ancora sulla povertà. La manovra finanziaria di Tremonti e i tagli in Regione andranno a ridurre inevitabilmente la spesa sociale e sanitaria. Un’apocalisse i cui effetti si dispiegheranno nei prossimi due anni:«Dal dal 2012 al 2014 si avvertiranno gli effetti più pesanti della crisi -spiega l’ex assessore ai Lavori Pubblici Carlo Mannoni -. I privati vanno incontro alla perdita del posto di lavoro da un lato e dall’altro scontano la presenza feroce dello Stato esattore». «In più il sistema pubblico istituzionale non è in grado di sostenere le classi deboli come succedeva una volta - prosegue Mannoni -».
Il sistema è entrato in crisi in modo pesante dunque e si è ramificato come un cancro a tutti i livelli. Bisogna capire se c’è una via d’uscita: « Se non si governa politicamente la situazione, con i tagli di Tremonti, le cose precipitano - aggiunge l’ex assessore-. I settori più delicati che entrano in crisi sono l’assistenza sociale e quella sanitaria. Governare significa riconoscere delle priorità: prima di tutto sarebbe urgente tagliare le spese improduttive, cominciando a ridurre il costo degli apparati, che sta diventando il rifugio per molti, parliamo di consulenze e appannaggi vari. Purtroppo si praticano tagli lineari. Oggi la Regione ci deve dire come affronterà il bilancio dei prossimi anni ». La risposta arriverà con la manovra finanziaria: « Si prevede una manovra epocale - prosegue ancora Mannoni-. Si taglierà sulle pensioni, si ridurranno i ticket sanitari, l'assistenza sociale. Ma la Sardegna ha tanti sprechi: dalle regalie per l’inaugurazione della flotta sarda, ai 150 mila euro al Vaticano, fino ai 350 mila euro al Fiavet (federazione agenzia di viaggio). Il quadro è pesante, se si considera che ci sono i fondi Fas per 2 miliardi 100 milioni che non arrivano e 1 miliardo e 700 milioni di fondi comunitari non spesi».
Nel rapporto annuale presentato a Gennaio dalla carta di Zuri, l’associazione messa in piedi per contrastare la povertà, i dati sono drammatici ma potrebbero peggiorare ancora: 100 mila pensionati sardi, ovvero il 50%, non arriva a 500 euro al mese e sono condannati a una vita di stenti. L’incremento della povertà in Sardegna è dovuto essenzialmente al fenomeno della precarizzazione e alla perdita del lavoro e ha già ha prodotto un enorme aumento nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali, che negli ultimi anni hanno raggiunto picchi superiori al 200%. La povertà si annida dappertutto: negli anziani che percepiscono la pensione sociale o integrata al minimo, nei lavoratori precari, nei capi famiglia che perdono il lavoro e vivono di cassa integrazione, nelle persone che si ammalano e per questo perdono il lavoro. Una catena che arriva dritta al baratro; produce debiti contratti in una vita precedente dove le cose andavano bene e che ora sembra lontanissima: chi ha contratto il mutuo per la casa, chi si è comprato la macchina o ha chiesto un prestito in banca per far studiare il figlio all’Università. Altri ancora hanno deciso di mettere su famiglia pur non avendo un posto fisso. Ora, tutto quello che prima era una speranza, è diventato debito e interessi da pagare. Per le banche e per l’erario, i poveri sono insolventi e i destinatari di quelle cartelle di Equitalia la cui cifra è destinata ad aumentare sempre più. Quella che in un passato non troppo lontano era la cifra della speranza, ora ha già preso un’altra via che si chiama povertà.
di M.Giovanna Fossati
Settantamila micro aziende sarde a settembre dovranno chiudere. 210 mila addetti da allora in poi, saranno a spasso, e considerando le loro famiglie si arriva a calcolare che 600 mila persone, nei prossimi mesi saranno ridotte sul lastrico. Gianni Piacciau del movimento «Artigiani e commercianti liberi Sardegna», già iniza a intravedere la prospettiva dell’Argentina nei giorni acuti della crisi. E non è un concetto irreale o esagerato, perchè oltre al baratro della disoccupazione, si aggiungono le pratiche vessatorie dello Stato: i sardi dovranno pagare oltre 300 milioni di euro, che arrivano con le cartelle di Equitalia pronti per essere riscossi dall’erario.
Numeri per i quali stamattina, commercianti, artigiani, imprenditori, professionisti, pastori, scenderanno in piazza a Cagliari, a gridare la rabbia di un popolo piegato dalla crisi, che in moltissimi casi si è trasformata in povertà. Trentamila persone arriveranno da tutte le parti della Sardegna richiamate dal movimento «Artigiani e commercianti liberi». Si sono dati appuntamento nel piazzale antistante la Fiera, da lì marceranno su viale Diaz e su via Roma, fino al consiglio regionale. «Chi ci governa si deve rendere conto che quì c’è un problema di emergenza sociale - prosegue Picciau -. Settantamila aziende sono in difficoltà. Calcolando che ogni azienda, oltre al proprietario, impiega due addetti, arriviamo alla cifra di 210 mila stipendi che non ci saranno più. Stipendi che a loro volta travolgeranno le famiglie dei dipendenti, e calcolando 3 persone a famiglia, arriviamo a una cifra spaventosa: 600 mila persone in gravissima difficoltà, che su una popolazione di un milione e mezzo di residenti, sta a significare che questa terra chiude i battenti».
Picciau entra nello specifico dei settori in crisi richiamando gli elementi più pesanti dell’economia : «Prendiamo il comparto turistico: grazie al caro traghetti abbiamo il 40% degli arrivi in meno. Ci sono i camion con i prodotti sardi fermi a Olbia: sono raddoppiati i costi del trasporto. Ma non parliamo solo di commercianti e artigiani, nel Sulcis ci sono persone che hanno problemi ad assicurarsi la pagnotta”. E via via si arriva anche ai risvolti drammatici della vita di chi ha perso il lavoro: «Vogliamo parlare dei suicidi in Sardegna?- chiede ancora Picciau - La gente è stremata e reagisce male. Ma voglio precisare che oggi in piazza la rabbia sarà controllata, siamo un movimento pacifista». L’altro lato dell’economia dell’isola sono i balzelli erariali. Gli oltre trecento milioni di euro da pagare a Equitalia sono i debiti dei sardi con lo Stato e gli enti locali: Ici, Tarsu, Iva e via continuando. Ma poi ci sono i mutui non onorati, e le abitazioni ipotecate. Nel frattempo i tagli di Regione ed enti locali si accaniranno ancora sulla povertà. La manovra finanziaria di Tremonti e i tagli in Regione andranno a ridurre inevitabilmente la spesa sociale e sanitaria. Un’apocalisse i cui effetti si dispiegheranno nei prossimi due anni:«Dal dal 2012 al 2014 si avvertiranno gli effetti più pesanti della crisi -spiega l’ex assessore ai Lavori Pubblici Carlo Mannoni -. I privati vanno incontro alla perdita del posto di lavoro da un lato e dall’altro scontano la presenza feroce dello Stato esattore». «In più il sistema pubblico istituzionale non è in grado di sostenere le classi deboli come succedeva una volta - prosegue Mannoni -».
Il sistema è entrato in crisi in modo pesante dunque e si è ramificato come un cancro a tutti i livelli. Bisogna capire se c’è una via d’uscita: « Se non si governa politicamente la situazione, con i tagli di Tremonti, le cose precipitano - aggiunge l’ex assessore-. I settori più delicati che entrano in crisi sono l’assistenza sociale e quella sanitaria. Governare significa riconoscere delle priorità: prima di tutto sarebbe urgente tagliare le spese improduttive, cominciando a ridurre il costo degli apparati, che sta diventando il rifugio per molti, parliamo di consulenze e appannaggi vari. Purtroppo si praticano tagli lineari. Oggi la Regione ci deve dire come affronterà il bilancio dei prossimi anni ». La risposta arriverà con la manovra finanziaria: « Si prevede una manovra epocale - prosegue ancora Mannoni-. Si taglierà sulle pensioni, si ridurranno i ticket sanitari, l'assistenza sociale. Ma la Sardegna ha tanti sprechi: dalle regalie per l’inaugurazione della flotta sarda, ai 150 mila euro al Vaticano, fino ai 350 mila euro al Fiavet (federazione agenzia di viaggio). Il quadro è pesante, se si considera che ci sono i fondi Fas per 2 miliardi 100 milioni che non arrivano e 1 miliardo e 700 milioni di fondi comunitari non spesi».
Nel rapporto annuale presentato a Gennaio dalla carta di Zuri, l’associazione messa in piedi per contrastare la povertà, i dati sono drammatici ma potrebbero peggiorare ancora: 100 mila pensionati sardi, ovvero il 50%, non arriva a 500 euro al mese e sono condannati a una vita di stenti. L’incremento della povertà in Sardegna è dovuto essenzialmente al fenomeno della precarizzazione e alla perdita del lavoro e ha già ha prodotto un enorme aumento nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali, che negli ultimi anni hanno raggiunto picchi superiori al 200%. La povertà si annida dappertutto: negli anziani che percepiscono la pensione sociale o integrata al minimo, nei lavoratori precari, nei capi famiglia che perdono il lavoro e vivono di cassa integrazione, nelle persone che si ammalano e per questo perdono il lavoro. Una catena che arriva dritta al baratro; produce debiti contratti in una vita precedente dove le cose andavano bene e che ora sembra lontanissima: chi ha contratto il mutuo per la casa, chi si è comprato la macchina o ha chiesto un prestito in banca per far studiare il figlio all’Università. Altri ancora hanno deciso di mettere su famiglia pur non avendo un posto fisso. Ora, tutto quello che prima era una speranza, è diventato debito e interessi da pagare. Per le banche e per l’erario, i poveri sono insolventi e i destinatari di quelle cartelle di Equitalia la cui cifra è destinata ad aumentare sempre più. Quella che in un passato non troppo lontano era la cifra della speranza, ora ha già preso un’altra via che si chiama povertà.
Protesta a Cagliari.
Manifestazione contro Equitalia. Oggi a Cagliari
di Umberto Aime
Il manifesto fa capire bene quale sia l'umore, è pessimo, di chi mercoledì manifesterà a Cagliari contro l'Agenzia delle Entrate ed Equitalia. In primo piano, sul volantino, c'è uno schiacciasassi. È mostruoso, come lo è il debito dei tartassati: un miliardo e mezzo. Il «popolo delle Partite Iva» fra due giorni ritornerà a occupare il piazzale della Fiera, poi dalle nove in poi marcerà sul Consiglio regionale. Lo farà perché si sente tradito. Tradito dal presidente della Regione, Ugo Cappellacci: aveva promesso lo "stato di calamità fiscale" e invece da Roma l'attesa moratoria non è arrivata. A tradire le «Partive Iva» è stato anche il ministro dell'economia, Giulio Tremonti. Nelle sue apparizioni pubbliche, aveva garantito una riscossione più umana e invece il suo «Decreto sviluppo» non è andato al di là di qualche provvedimento tampone per frenare ganasce fiscali e pignoramenti. Il «Popolo Anti-Equitalia» sostiene di essere stato abbandonato anche dall'opposizione. Che aveva annunciato fuoco e fiamme in difesa di chi è sommerso dalle cartelle esattoriali più o meno giuste, e invece in Parlamento (anche a causa del voto di fiducia imposto dal Governo Berlusconi) non è riuscita a mettere assieme quella maggioranza trasversale necessaria per siglare una vera pax fiscale tra contribuenti ed Equitalia. Tutto è rimasto a metà, ed ecco perché il Movimento degli artigiani e dei commercianti liberi del Sulcis si è rimesso alla testa di un mondo ancora strangolato dal Fisco. Il ritorno in piazza è stato deciso dopo le manifestazioni andate molto bene nel Sulcis, a Cagliari, a maggio, e a Olbia, un mese fa, e quella meno partecipata di Roma a fine giugno. Stavolta gli organizzatori vogliono sfondare il muro delle diecimila presenze: ci riusciranno? È possibile. Rispetto agli ultimi cortei, mercoledì è annunciata la presenza di molti movimenti che invece per un motivo o per l'altro hanno disertato le altre manifestazioni. Dopodomani ci saranno sicuramente i pastori dell'Mps, che in questi giorni hanno fatto girare tra gli iscritti "short message" sui telefonini: «Dobbiamo esserci», l'invito alla partecipazione. Dovrebbero essere numerose anche le delegazioni dalle altre province: il tam tam di queste settimane ha funzionato a meraviglia, compreso lo slogan: «Mercoledì sarà lo sciopero generale delle Partite Iva». Il decreto beffa. Dal Parlamento i tartassati si aspettavano molto di più. Nella sostanza, il Decreto ha modificato soltanto il tetto per ganasce e pignoramenti. Nel primo caso, è stato imposto il divieto al sequestro delle auto per importi fino a duemila euro. Nel secondo, la casa non potrà essere messa all'asta per debiti col Fisco inferiori ai ventimila euro. Poi sulla carta, bisognerà vedere nella realtà, il decreto ha attenuato anche il brutale fenomeno degli interessi calcolati sugli interessi e le more, si chiama anatocismo ed è quello che provoca il raddoppio (se uno è fortunato) del debito con lo Stato, l'Inps o i comuni. Sono state queste le uniche pezze che sono state messe dal Decretone: una beffa. La piattaforma. Nella sostanza è la stessa di maggio. Per due motivi: il Parlamento non ha approvato la riduzione dell'aggio (la percentuale sull'incasso) in favore di Equitalia, che da sempre fa monte-debito coil perverso sistema - rimasto pressoché inalterato - di sanzioni e more. Il secondo motivo è che la moratoria promessa dalla Giunta, come detto, non è arrivata neanche per un anno, mentre ci sono ancora i micidiali studi di settore che equiparano un negozio cagliaritano a uno di Roma. E nel frattempo stano per partire accertamenti ancora più invasi da parte dell'Agenzia delle Entrate. Un disastro da fermare, mercoledì a Cagliari.
di Umberto Aime
Il manifesto fa capire bene quale sia l'umore, è pessimo, di chi mercoledì manifesterà a Cagliari contro l'Agenzia delle Entrate ed Equitalia. In primo piano, sul volantino, c'è uno schiacciasassi. È mostruoso, come lo è il debito dei tartassati: un miliardo e mezzo. Il «popolo delle Partite Iva» fra due giorni ritornerà a occupare il piazzale della Fiera, poi dalle nove in poi marcerà sul Consiglio regionale. Lo farà perché si sente tradito. Tradito dal presidente della Regione, Ugo Cappellacci: aveva promesso lo "stato di calamità fiscale" e invece da Roma l'attesa moratoria non è arrivata. A tradire le «Partive Iva» è stato anche il ministro dell'economia, Giulio Tremonti. Nelle sue apparizioni pubbliche, aveva garantito una riscossione più umana e invece il suo «Decreto sviluppo» non è andato al di là di qualche provvedimento tampone per frenare ganasce fiscali e pignoramenti. Il «Popolo Anti-Equitalia» sostiene di essere stato abbandonato anche dall'opposizione. Che aveva annunciato fuoco e fiamme in difesa di chi è sommerso dalle cartelle esattoriali più o meno giuste, e invece in Parlamento (anche a causa del voto di fiducia imposto dal Governo Berlusconi) non è riuscita a mettere assieme quella maggioranza trasversale necessaria per siglare una vera pax fiscale tra contribuenti ed Equitalia. Tutto è rimasto a metà, ed ecco perché il Movimento degli artigiani e dei commercianti liberi del Sulcis si è rimesso alla testa di un mondo ancora strangolato dal Fisco. Il ritorno in piazza è stato deciso dopo le manifestazioni andate molto bene nel Sulcis, a Cagliari, a maggio, e a Olbia, un mese fa, e quella meno partecipata di Roma a fine giugno. Stavolta gli organizzatori vogliono sfondare il muro delle diecimila presenze: ci riusciranno? È possibile. Rispetto agli ultimi cortei, mercoledì è annunciata la presenza di molti movimenti che invece per un motivo o per l'altro hanno disertato le altre manifestazioni. Dopodomani ci saranno sicuramente i pastori dell'Mps, che in questi giorni hanno fatto girare tra gli iscritti "short message" sui telefonini: «Dobbiamo esserci», l'invito alla partecipazione. Dovrebbero essere numerose anche le delegazioni dalle altre province: il tam tam di queste settimane ha funzionato a meraviglia, compreso lo slogan: «Mercoledì sarà lo sciopero generale delle Partite Iva». Il decreto beffa. Dal Parlamento i tartassati si aspettavano molto di più. Nella sostanza, il Decreto ha modificato soltanto il tetto per ganasce e pignoramenti. Nel primo caso, è stato imposto il divieto al sequestro delle auto per importi fino a duemila euro. Nel secondo, la casa non potrà essere messa all'asta per debiti col Fisco inferiori ai ventimila euro. Poi sulla carta, bisognerà vedere nella realtà, il decreto ha attenuato anche il brutale fenomeno degli interessi calcolati sugli interessi e le more, si chiama anatocismo ed è quello che provoca il raddoppio (se uno è fortunato) del debito con lo Stato, l'Inps o i comuni. Sono state queste le uniche pezze che sono state messe dal Decretone: una beffa. La piattaforma. Nella sostanza è la stessa di maggio. Per due motivi: il Parlamento non ha approvato la riduzione dell'aggio (la percentuale sull'incasso) in favore di Equitalia, che da sempre fa monte-debito coil perverso sistema - rimasto pressoché inalterato - di sanzioni e more. Il secondo motivo è che la moratoria promessa dalla Giunta, come detto, non è arrivata neanche per un anno, mentre ci sono ancora i micidiali studi di settore che equiparano un negozio cagliaritano a uno di Roma. E nel frattempo stano per partire accertamenti ancora più invasi da parte dell'Agenzia delle Entrate. Un disastro da fermare, mercoledì a Cagliari.
lunedì 4 luglio 2011
Il popolo sardo si unisce.
Essere Sardi, oggi, significa soprattutto avere la sensibilità per saper cogliere il grido di dolore che proviene dalla nostra terra.
Liberi da partiti, sindacati e vecchie ideologie, realizzeremo ciò che nessuno è mai riuscito a fare prima d'ora: unire il nostro popolo e dargli la forza e il coraggio per tornare padrone del proprio destino.
I valori di Identità, Comunità e Libertà illumineranno il nostro percorso, consentendo a ogni Sardo libero di essere il protagonista di un cambiamento senza precedenti.
Noi non vogliamo uomini disposti a fare politica; noi vogliamo uomini coscienti di poter fare la Storia. Perché se mai esisterà un'ipotesi di salvezza per il pianeta e l'umanità, questa prenderà avvio dalla nostra terra.
Chiunque abbia a cuore il benessere materiale e spirituale della Sardegna è invitato a partecipare al processo costituente del “MOVIMENTO SARDI LIBERI” che partirà immediatamente dopo la manifestazione del 6 luglio e avrà i seguenti punti di riferimento ideali:
1) Contro un Sistema che quotidianamente umilia la dignità dell'essere umano e distrugge la bellezza e l'integrità della Natura, per un Nuovo Modello di Sviluppo che attraverso il recupero dei valori di Identità e Comunità, consenta all'Uomo di ritrovare l'armonia con se stesso, i suoi simili e la Natura.
2) Contro il Signoraggio Bancario e il sistema finanziario internazionale, per la Proprietà Popolare della Moneta in un contesto di finanza etica diffusa.
3) Contro una Globalizzazione dominata da Multinazionali e Grande Distribuzione Organizzata, per favorire un tessuto economico locale che punti su artigianato, agricoltura (biologica e finalizzata al recupero della biodiversità), pastorizia, piccolo commercio, turismo eco-compatibile.
4) Contro il centralismo di Regione, Stato e Unione Europea, per un Sistema istituzionale che dia pieni poteri alle comunità locali (in una cornice di valori condivisi) e si ispiri a principi di federalismo municipale e democrazia orizzontale.
5) Contro l'attuale Casta Politica (regionale e nazionale), per una nuova classe dirigente selezionata dal basso, cioè da libere comunità locali e non più dai partiti.
Lo sviluppo di questi cinque punti (base di partenza ovviamente limitata, ma imprescindibile) vuole e deve avvalersi dei suggerimenti, delle suggestioni e delle intuizioni di tutti, purchè non iscritti a sindacati, partiti e associazioni di categoria.
Per Informazioni: Stefano Piroddi – 3394141440
Carlo Masu – 3496221716
Alberto Serra - 3394740843
Nell'immagine la locandina della protesta del 6 Luglio
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